Sorprende trovare Floris , noto come giornalista politico, nelle vesti di autore di questo romanzo che nulla ha a che vedere con la politica, semmai con la società di oggi molto poco attenta alle dinamiche giovanili e all’educazione dei figli.
Il libro è sì la storia di un atto di bullismo commesso dal solito gruppo di “ fighetti”che rifiutano più per vezzo che per autentica consapevolezza “ la normalità”, ma è soprattutto una riflessione sulla “ responsabilità” parola oggi del tutto svuotata di significato.
Ciò che emerge inequivocabilmente è che bisogna imparare che artefici della nostra vita siamo noi con le nostre scelte , ognuna delle quali comporterà delle conseguenze più o meno drammatiche anche sulla vita di altre persone. Finchè la società non riscoprirà e demarcherà nettamente i limiti tra bene e male, nessuna speranza di rinascita rimane .
Interessante esperimento riuscito meglio più nella prima parte del libro anche perché Floris cerca di calibrare il linguaggio sui personaggi , meno nella seconda ; quando infatti si tratta di tirare le fila della storia l’intreccio narrativo si avviluppa ed affiora il Floris-Grillo parlante sapientino che finisce con lo scivolare in un retorico moralismo..