Un libro autobiografico , atipico sulla Shoà tant’è che chi si aspetta di trovarvi il racconto dettagliato di fatti accaduti all’interno dei campi e di atrocità rischia di rimanerne deluso; è un libro di memorie, di sensazioni di “ non detto” di ricordi dolorosamente strappati al pesante sipario calato nel cuore di un bimbo di sette anni che si trova all’oggi al domani sradicato da tutto ciò che aveva costituito il suo mondo ( genitori, famiglia, scuola, terra e lingua) per piombare nella più assoluta solitudine; un bimbo violato nella sua infanzia , miracolosamente scappato dal campo di concentramento e costretto a vagare per lunghi mesi in un bosco, nascondendosi, vivendo come un animale nella più assoluta solitudine. Solo quando Aharon, dopo un lungo peregrinare in Europa, Italia inclusa, approderà nella Terra promessa, sarà costretto a fare i conti con il passato rimosso per poter cominciare un cammino di ricostruzione di sé proprio partendo dalla perdita della affetti , della madre intesa e come persona e come lingua. Il libro si può dividere in due parti : la prima , quella dell’infanzia in cui il prima e il dopo si avvicendano nel racconto delle emozioni belle vissute nella sua casa , circondato e protetto dall’amore dei genitori e dei nonni , della paura provata nel periodo del suo nascondersi, del rapporto con la natura, una parte molto incentrata sul non detto e dove il detto lo è con un tono asciutto e distaccato senza nessun indulgere in descrizioni finalizzate a suscitare orrore e compatimento ( come le pagine in cui l’autore racconta del recinto dei cani da guardia a cui venivano dati in pasto i bambini ) e la seconda; il viaggio verso Israele che non sarà ,però, per il piccolo la risoluzione del suo dramma. E’ infatti, un paese estraneo quello che riceve Aharon , estraneo nella lingua, nel clima, nella cultura e nel paesaggio, un paese vissuto come ostile che ,per com’è , marcherà ancora di più il suo senso di totale sradicamento , un paese in fase di costruzione , che deve fare i conti con un perenne stato di guerra e che spinge affinchè i nuovi arrivati si integrino al più presto rinnegando ciò che si erano stati per indossare nuove vesti, adottare una nuova lingua e tradizioni seguendo dettami precisi i cui esiti non possono non accentuare il senso di estraneità .Tutto ciò non può non determinare in Appelfieldbil suo modo di essere scrittore definito da Roth , lo scrittore che fa “ del distacco e del disorientamento un tema unicamente suo." La salvezza sarà allora sradicare dal suo cuore, faticosamente , lentamente , quel passato rimosso, sepolto nella sua memoria. Solo recuperando “ dal pozzo” della memoria ciò che si è stati si potrà guardare avanti.
Romanzo-testimonianza adatto ad un pubblico adulto, già consapevole e attento conoscitore della Shoà che cerca di capire il perché la maggior parte dei sopravvissuti vivano non solo un pesantissimo senso di colpa ma non vogliano parlare di quanto accaduto.