Un'altra indagine per Rocco Schiavone che ricoverato in ospedale dove ha subito una nefrectomia, di fronte alla morte sospetta di un paziente non riesce a farsi i “…….” suoi. Fin qui tutto noto; stessi personaggi, stessi stereotipi, tra l’altro il romanzo è il seguito di “Rien ne va plus”, con in più una vena di malinconia che scaturisce nel protagonista dalla consapevolezza di essere stato sfiorato dalla morte. Sarà questo che stempererà un po’ la rude scorza di Schiavone? O piuttosto l’età a renderlo un po’ più disponibile nei confronti degli altri, o sarà il disperato bisogno di un altro amore che gli attenui la faticosità del vivere? Dal punto di vista tecnico, l’intreccio del giallo è debole; Manzini si sofferma maggiormente sui personaggi che sui fatti e gli indizi, molte cose come il movente rimangono appena accennati. Nell’insieme, comunque, il libro soddisfa il pubblico seguace di Schiavone, anche se ritengo, che nella stanchezza di Schiavone, si rifletta anche la stanchezza dell’autore per una serie che ormai è esaurita.