Particolare il romanzo con cui Giuseppe Lupo concorre all’assegnazione del premio Strega. Il suo infatti è essenzialmente un libro sulle parole quelle parole che il piccolo protagonista della storia perde nel momento che la nascita della sorellina irrompe nel suo mondo esclusivo e che poi, lentamente recupera grazie all’azione costante dei genitori, insegnanti entrambi, cresciuti nel fermo credo del valore formativo della cultura , della letteratura e della bellezza. Il suo ambiente familiare è quello della Lucania arretrata , pastorale con i suoi riti antichi ma che , grazie ai genitori, è anche un ambiente colto ( il padre fonda un Circolo della cultura, organizza conferenze invitando i letterati del tempo certo che il letterato è “ il testimone di cose a venire” ); per entrambi la scuola è“ un vangelo ,l’unico in cui sperare ”per questo motivo erano convinti che “ fare scuola significava sostenere le impalcature del mondo” ; il tempo è quello dell’Italia del dopoguerra “ una nazione di pastori e una terra di campanili” ma in cui è in atto un processo di trasformazione di cui Milano ,dove il giovane si trasferirà per frequentare la Facoltà di Lettere, è l’espressione tangibile e in cui le parole acquistano un peso specifico per accompagnarlo. Un libro davvero notevole di formazione e di trasformazione che dà ampio spazio alle parole costruite con lettere che “ attaccate le une alle altre costituivano una musica , creavano un segreto con cui vincere la paura di ricadere nel silenzio” perché “La strada della libertà era fatta di carta stampata” . un linguaggio poderoso, raffinato, incisivo ed elegante che pur squadrando rimanda, evoca odori e sapori, un linguaggio “ pensato, meditato che non smarrisce mai la strada costituendo lo strumento migliore per dare forte coerenza al testo. Davvero interessante, così come fa ben sperare la constatazione che in ben tre libri che concorrono allo Strega si dia tanto spazio al valore della scuola e della formazione e si guardi a come era e cosa è stato in grado di fare il Paese in una situazione di grande difficoltà come quella del dopoguerra.