“Transilvania ..era l’essenza e il simbolo dell’inesplicabile un inesplicabile remoto, legato ai boschi, quasi mitico e, ritrovandomici mi sembrò più magica”
Ed è proprio questo il libro, la rievocazione , momento per momento di un luogo non contaminato dal progresso della società occidentale che , dopo la caduta del muro di Berlino, avanza inesorabilmente corrodendo usi, costumi, tradizioni e riti di un luogo irreale dove la durezza degli inverni è stemperata dalla bellezza mozzafiato dei paesaggi innevati, dove il duro lavoro della terra è epicamente esaltato perché foriero di benessere interiore e dove gli anni, le ore , i minuti vengono goduti appieno perché quasi deprivati del tempo. E’ un luogo bucolico ed idillico quello descritto dall’autore in questa lunga narrazione in cui il protagonista racconta del suo viaggio e della sua vita in Romania , nella parte sud e nord . Attraverso i suoi occhi sentiamo gli odori della terra bagnata e del fieno appena tagliato, i suoni dei violini tzigani e dei tamburi, i belati e i muggiti degli animali. Luoghi di virgiliana memoria, forse troppo esaltati nella loro miticità perché il confronto con il presente nero, ossessivamente scandito dai ritmi frenetici imposti è troppo forte per essere accettato. Certamente il libro ha il pregio di far conoscere una popolazione composta da rumeni, sassoni, ucraini e ungheresi su cui da anni pesano tanti pregiudizi così come un’ attenzione particolare è riservata anche agli zingari ( almeno quelli sopravvissuti alla deportazione nazista ) guardati con sospetto dalla popolazione locale, mai ben integrati al punto da meritare un cimitero separato che è la visualizzazione inequivocabile della segregazione di tal popolo che patria non ha. Forse un po’ datato come libro, certamente lento nella narrazione ma consigliato a piccole dosi per sfuggire all’orrida bruttezza del momento.