Un divorzio “tardivo” distrugge gli equilibri precari che regolavano i ritmi di una famiglia israeliana formata da un padre fuggito negli Stati Uniti, da una madre ricoverata in manicomio e da tre figli adulti che non avevano, pur essendo di fatto i genitori separati, ipotizzato la possibilità di una loro separazione definitiva. Anche in questo romanzo l’autore torna su un tema a lui molto caro: il dramma di Israele lacerato tra diaspora e Stato unitario e lo fa incastonando la storia personale di Yehuda e della sua famiglia nella metafora della Storia del paese. Ed anche in questo romanzo l’autore sorprende ed affascina con la sua particolarissima tecnica narrativa. Il romanzo è infatti formato da nove capitoli ciascuno narrato da un personaggio della storia secondo un flusso di coscienza che, seppur disorientando inizialmente il lettore ,ne consente però la costruzione a tutto tondo . La storia si consuma in un arco temporale breve: nove giorni in cui il protagonista con sofferenza più volte esiterà nel compiere il passo finale quasi a voler sfuggire dalla sua decisione , in cui i figli, liberatisi da una sottile crosta che ne impediva il manifestarsi, metteranno a nudo la loro contrarietà di fronte ad un evento che appare ineluttabile e in cui la moglie con un deliberato distacco pare stare a guardare sorniona il sopraggiungere della tragedia; nove giorni che culmineranno a Pasqua quando avverrà il dramma , il “passaggio” da ciò che è stato e che non è più a ciò che sarà. Un romanzo appagante da cui ci si stacca a malincuore ,straordinario che conferma, ove fosse necessario la potenza narrativa di un autore altrettanto straordinario .