Un libro davvero angosciante e soffocante. Un uomo, di professione linguista ( questa peculiarità è fondamentale nel romanzo) conoscitore di tante lingue e parlate e “morte” deve recarsi per una conferenza di lavoro ad Helsinki. Per un beffardo disguido si ritrova in un città di cui non riesce ad indentificare né il nome né la collocazione geografica. E’ un luogo-non luogo brulicante di gente sempre in coda che parla una lingua non solo a lui ignota ,ma della quale non riesce a rintracciare segni che possano riportarlo all’appartenenza ad un ceppo linguistico a lui noto. Da qui comincia la sua lotta per la sopravvivenza. Senza nessuno che comprenda ciò che esprime in lingue diverse, continuamente spintonato, privo di orizzonte, l’uomo tenta di opporsi alla condizione di brutalità in cui è precipitato ma dalla quale , utilizzando la ragione, cerca di venir fuori. Un libro claustrofobico , surreale che induce a riflessioni sulla solitudine che avvince nelle sue spire l’uomo odierno schiacciato da un tempo che scorre velocissimo, omologato e teso nella continua corsa verso qualcosa di inafferrabile, ma un romanzo che soprattutto esalta il valore del linguaggio come ponte imprescindibile tra l’io e gli altri. Molto interessante la competenza dell’Autore sui linguaggi, urticante però la lettura.