Ambientato nella Sardegna degli anni 50, sullo sfondo di una terra provata dalla miseria e dominata da una cultura ancestrale che mescola religiosità cristiana e credenze pagane, il libro sviluppa con grande delicatezza il tema dell’eutanasia e dell’adozione così come usava essere in terre isolate , prive di legge. Protagoniste due donne : Maria ( fill’e anima )e Bonaria Urrai ,ufficialmente sarta ,ma in realtà “accabadora”, cioè colei che pietosamente accorre per pone fine alle sofferenze dei malati. Madre e figlia adottiva si divideranno dopo che Maria avrà scoperto il doloroso segreto di Bonaria, ma solo temporaneamente perché la permanenza a Torino di Maria altro non sarà che un viaggio di formazione grazie a cui scoprirà che non si può dire mai “ io di quest’acqua non ne bevo”.
Molto bello lo stile asciutto ,ma pregnante, come pregnanti sono gli odori descritti dall’Autrice. Davvero ammalianti le atmosfere ,sbalorditiva la naturalezza con cui l’autrice ci racconta vicende drammatiche per darci prova che la cultura contadina è capace di guardare all’essenzialità delle cose senza falsi pudori o sovrastrutture moralistiche .Da leggere!