Chi si approccia al libro della Petri pensando di leggere un testo sul rapporto animale-uomo sbaglia di grosso. Il romanzo, infatti parla sì di un rapporto viscerale che si istaura tra la protagonista, insegnante precaria ed un cane enorme, nero, rabbioso, abbandonato e da lei salvato da morte sicura ma tratta , a mio avviso, soprattutto di un processo di appropriazione di legami ancestrali tra la protagonista e gli esseri che da lei si fanno amare : il cane Osac e il bimbo della donna. Il cane ,selvaggio al punto da far pensare di provenire dal selvaggio Klondike, a causa dell’abbandono svilupperà nei confronti della sua salvatrice un rapporto basato sulla possessività che lo porterà ad escludere tutto il resto del mondo vissuto nelle sue componenti come potenziale nemico finchè la notizia di una imprevista gravidanza della sua padrona non cambierà le cose. La donna infatti dovrà intraprendere una strada che la porterà a compiere una scelta dolorosa riconoscendo il legame carnale creatosi tra lei e il nascituro , un figlio volutamente partorito con dolore animalesco, un figlio che scava dentro di lei non solo materialmente ,ma anche psicologicamente impossessandosene totalmente al punto che di fronte a lui …” tutto il resto dell’universo…ma proprio tutto paragonato a questo figlio che cresco, si è trasformato in piscio di gallina”. Un libro, quindi sulla maternità e sull’amore in generale in cui Osac ( il cane) ha un ruolo fondamentale al punto da assumere una sua propria voce espressa in un linguaggio comprensibile solo ai due amanti (ed questa è una delle particolarità del libro) ed in cui l’autrice da un’ulteriore prova di essere capace di trattare con levità temi autentici e forti.