Raramente capita di leggere un libro il cui autore sia riuscito dall’inizio alla fine ad utilizzare un’ironia dissacrante con cui celare o far risaltare? un cupo e totale nichilismo nei confronti di tutto e tutti, in particolare nei riguardi dei rapporti umani e nello specifico familiari. Occupa tutto il libro infatti, una lunghissima riflessione sul suo essere figlio di genitori che non stima ed apprezza, sul suo essere fratello, vissuto dagli altri quasi come vittima sacrificale, sul suo modo di vivere la sua origine,. Molto pochi i fatti veri e propri, piuttosto riflessioni quasi ad alta voce che si nutrono di ripetizioni in un crescendo lessicale che riproduce l’ampliarsi della riflessione. Lo spunto è dato dalla notizia della morte dei genitori; da qui prende avvio il monologo che ha come obiettivo arrivare all’estinzione di tutto. La lucidità con cui l’autore persegue l’obiettivo è inquietante come inquietanti sono le sue riflessioni sull’ipocrisia umana tra l’altro di un’attualità sconvolgente.” Abbiamo a che fare con gente che estingue ed uccide , Gli agenti dell’estinzione e dell’uccisione uccidono le città e le estinguono, e uccidono il paesaggio e lo estinguono …”ed ancora .. “ Tutti vogliono di continuo essere ritratti belli e felici, mentre sono tutti brutti e infelici. Si rifugiano nella fotografia che, con una falsificazione totale , li mostra belli e felici ..o per lo meno meno brutti e meno infelici di quanto non lo siano. Esigono dalla fotografia la loro immagine sognata e ideale e non rifuggono da alcun mezzo , sia pur la più atroce delle deformazioni , pur di creare in una foto quel’immagine sognata, quell’immagine ideale” Un libro denso che attinge alla filosofia di Niectzhe, da leggere a piccoli sorsi, in cui si riflette inevitabilmente anche il nostro modo di vivere e viversi.