Assolutamente nuovo, direi post-moderno il romanzo di Viola Ardone ( autrice che non conoscevo e suggeritami dalla nostra Lucia) ambientato in Giappone dove tutto ciò che a noi appare futuro impossibile è già da tempo presente possibile e in una società caratterizzata dalla commistione di elementi religiosi lontani dalla nostra cultura e difficili a comprendere e elementi di una modernità assoluta, sconvolgente! Il romanzo è un viaggio nelle mente di Yuki , bambina -donna “essandai” cioè difettosa …sì, perché nell’istituto in cui Yuki viene accolta tutto è informatizzato, robotizzato, persino i sentimenti !e le madri biologiche vengono sostituite da Unità Materne Sintetiche, robot che trasmettono ai figli da allevare impulsi programmati affinchè siano perfetti. Lo spunto per compiere tale viaggio interiore popolato da sogni ,incubi e visioni è innescato dall’ingresso in Istituto di Sumiko, una bimba rimasta orfana di entrambi i genitori, una bimba che non reagisce agli stimoli ricevuti e che a Yuki ricorda tanto se stessa. Sarà così che Yuki ripercorrerà il dramma di vedersi strappare l’unica madre accogliente che aveva mai conosciuto perché L’Unità Materna Sintetica che l’aveva accudita verrà dismessa a causa di un virus creato dagli oppositori al programma di Madri artificiali che , infettate, hanno finito con il contaminare le menti dei bambini inclusa Yuki. Davvero sconvolgente è la spasmodica ricerca di Yuki tra la ferraglia di dispositivi dismessi di qualcosa di sua “ madre” e quell’unico dito ritrovato sarà per lei l’unico legame con un universo emotivo negato dal “ progresso”
Il racconto turba davvero perché ci pone dinnanzi ad un mondo in cui sentimenti, affetti ,emozioni vengono analizzati, sezionati, ridotti a dati di un algoritmo al fine di evitare errori e dolori ,in cui i figli vengono sottratti alle madri imperfette in quanto umane per essere allevati da macchine per dare vita ad società perfetta ed infallibile quanto disumana . E’ il cervello umano ad essere imperfetto , la macchina è infallibile e immediata e in nome di un tal credo tutto ciò che vi si discosta sarà espulso, emarginato, condannato. Per certi versi la lettura di “ Bambini di ferro” mi ha richiamato alla mente il romanzo “ Macchine come me” di Ian McEwan, ma in quel caso era la macchina che si umanizzava, in questo è l’uomo che si robotizza. Ma sarà questa la società in cui ci ritroveremo a vivere? siamo certi che è questo che vogliamo? La Ardone pone un problema che non è affatto lontano, al contrario è drammaticamente prossimo e lo fa con perizia letteraria trasmettendo con la sua scrittura franta, essenziale, quasi del tutto priva di aggettivazione quel gelo che caratterizza un mondo di androidi.