Toccante romanzo di formazione ambientato in Islanda terra dura , desolata, flagellata dai venti e circondata da un mare di ghiaccio che in un attimo è in grado di ghermire le vite di coloro i quali dal mare traggono sostentamento. Protagonista è un ragazzo che fa il pescatore per vivere ma che ha un animo da poeta; non ha nome perché il viaggio reale e metaforico che sarà costretto ad affrontare è il viaggio che ogni uomo compie. Gli interrogativi che il giovane si pone (qual è il senso della vita? Dove andiamo? Perché esistiamo?) sono gli interrogativi su cui da sempre ogni uomo riflette ma per i quali non c’è risposta (L’intimo interrogarsi del ragazzo mi ha evocato il monologo del leopardiano pastore kirghiso).Quel “Paradiso perduto” opera che il giovane leggeva con il suo più caro amico ucciso per un stupida dimenticanza si trasforma in un inferno di ghiaccio e morte meravigliosamente riprodotto dal gelido paesaggio islandese sotto la cui coltre di morte arde, però, il fuoco della vita. Labilissimo quindi il confine tra vita e morte, straordinario il potere attribuito alla lettura ( ad un certo punto il giovane dirà che “ ogni lettura gli dilata il mondo” )e soprattutto alle parole che risultano ricercate ma essenziali, rapprese ma gentili ,dure ma autentiche. Romanzo un po’ difficile perché impone una riflessione sul rapporto vita-morte che necessariamente innesca malinconia e tristezza su ciò che è stato e non sarà più, su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato ma che vale davvero la pena leggere anche per l’uso di un linguaggio la cui preziosità sconfina talvolta nella poeticità.