In questo romanzo l’autrice conferma la sua vocazione giornalistica poiché denunzia le tremende condizioni in cui vivevano le persone malate di mente rinchiuse nei manicomi di quel “ civilissimo “ paese che è la Svezia. Marit, la protagonista, torna a casa dopo tanti anni per festeggiare il settantesimo compleanno suo e del suo gemello ,ma durante il tragitto sente la necessità di fermarsi in un paesino limitrofo al suo paese natale per visitare il luogo in cui era stato condotto il fratello maggiore, soprannominato lo Sgorbio, all’indomani della morte della madre che fino a quel momento era stata la sua custode e protettrice. Ma se da giovane Marit non si era posta delle domande su dove fosse finito quel fratello impegnativo ed ingombrante, adesso nell’anzianità tanti interrogativi le si affacciano alla mente. Scopre così tutte le distonie di una società che si spacciava come solidale e democratica ma che in realtà era profondamente razzista e crudele. Un libro molto duro che riporta a galla con un’inchiesta spietata, i trattamenti coercitivi riservati a chi, ahimè, aveva la colpa di essere “ diverso”. Anche il linguaggio è diretto, privo di fronzoli, non ci sono risposte né soluzioni assolutorie, solo una ferma denuncia tra chi ha diritto a vivere e chi no e non è poco…