Interminabile e soffocante diario di quasi 1000 pagine che raccontano la vita comune, quasi banale di un professore di filosofia, il suo pessimo rapporto con gli altri, genitori, moglie, figlio ,amici, la difficoltà di istaurare rapporti autentici in una società che etichetta senza speranze. Da qui il bisogno di Toni, il protagonista, di riservarsi la possibilità di scegliere la data della propria morte perché se è vero che la società ingabbia gli individui in “ trappole “ da cui non si sfugge, almeno l’uomo può essere libero di decidere se continuare a lasciarsi vivere o no. Il libro non convince perché prolisso, banale e ripetitivo e svela un Aramburo profondamente diverso dall’autore di “ Patria” a tal punto da suscitare il sospetto che o l’uno o l’altro siano stati scritti da due persone diverse. Alla densità linguistica, al periodare franto, al tema intenso di “ Patria” si contrappongono nell’ultimo romanzo un colloquiare inter sé perennemente ironico , cinico, banale ed informale ed una continua riflessione sulla vita e sulla libertà abbastanza deludenti.