Chi ama la scrittura lucida, netta , graffiante, profonda ed intensa di Marai non può non trovare appagamento nel leggere questo breve libro , scritto di getto all’indomani della presa di Budapest da parte dei Russi. Così come accaduto in “ Volevo tacere” l’Autore sente l’ineludibile necessità di consegnare la sua “ bruciante” testimonianza alla Storia attraverso il racconto dell’ assedio della sua città , della sua Patria, concetto ampio ridotto via via al concetto di “ isolato”, di cantina, dove vivono in una bolgia disumana di promiscuità e sofferenza un centinaio di persone lì rifiugiate per scampare alla morte. Unica dimensione temporale: l’assedio, unica protagonista: Erzsébet, (giovane ragazza figlia di uno scienziato dissidente) che presta il suo animo ad essere scalpellato da Marai affinchè affiorino via via emozioni, pensieri, sentimenti su l’orrore che sta vivendo. Emerge una condanna ferma, senza appello della guerra che “ con il suo fiato fetido e rovente” sta sul collo di chiunque partecipi a quella bolgia di sangue: vinti e vincitori, deboli e forti tutti in attesa della “ Liberazione ”. Una appassionata lezione di scrittura , di sofferenza per la propria terra percossa ed umiliata e di amore per tutti gli uomini.