Straziante, crudo , sconcertante in alcuni passi, il romanzo dell’autrice ungherese , non può non lasciare un segno profondo nell’anima. Ambientato in una innominata città dilaniata dalla guerra, è la storia di infanzie devastate dalla crudeltà umana. Domina su tutto una visione pessimistica della vita che si traduce in atmosfere cupe, in una esplicita negazione del valore della vita stessa, nell’ apparente aridità affettiva dei due gemelli protagonisti del romanzo il cui voluto allenamento al dolore, alla fame, al silenzio ed infine alla separazione diventano rimedi per garantirsi la sopravvivenza.
La straordinaria capacità dell’autrice sta nel mescolare realtà e sogno, il che , se da un canto disorienta il lettore , dall’altro crea “una selva oscura” da cui è impossibile venir fuori , il tutto tradotto in un linguaggio scabro, tagliente come un rasoio, dalla sintassi essenziale , asciutta , arida, ma proprio per questo ancor più che incisiva e significativa. Forse l’unico valore che riesce a travalicare eventi e tempo sono proprio le parole espresse in un fantomatico libro che, non importa se buono o cattivo, lascia sempre una traccia dell’esistenza umana. Un romanzo che non risparmia niente e nessuno e che costituisce un vero e proprio grido di orrore nei confronti della guerra e delle sottrazioni , non solo fisiche che comporta. Davvero straordinario.